Per anni sul Po si è scavato nell’illegalità più selvaggia: tutti sapevano e nessuno controllava. La denuncia di Legambiente: “Danni ambientali irreparabili e terreno fertile per le organizzazioni criminali, che hanno operato indisturbate"
La sabbia finissima del Po ha fatto gola a molti. Anche se la legge dal 1992 ha proibito di scavare nel letto del fiume, c’è chi ha fatto finta di nulla e in barba alle regole ha continuato ad azionare le draghe. Tra chi scavava abusivamente la notte in alveo, a chi “distrattamente” attivava le ruspe oltre i limiti delle autorizzazioni: non sono poche le ditte finite negli anni al centro di inchieste per irregolarità nell’attività di estrazione.
Nel novembre 2003 la Polizia Giudiziaria, appostata sulle rive del Po a Boretto, fermò quattro dipendenti dell’azienda Terracqua di Viadana: si trovavano a bordo della moto draga “Franca B.”, nel bel mezzo dell’alveo del fiume, e stavano estraendo sabbia in piena notte. Sorpresi in flagranza di reato nel portare via almeno 300 tonnellate di materiale, vennero arrestati e processati per direttissima. Nel 2014 la Cassazione ha emesso quattro condanne in via definitiva per il reato ambientale di furto di sabbia. “Non risolve il problema alla radice, ma serve da monito.” Ha commentato così la sentenza Lorenzo Frattini, presidente di Legambiente Emilia-Romagna, che si è costituita parte civile nel processo. “Le escavazioni illecite continuano e sebbene in questa vicenda non siano state rilevate ramificazioni di stampo mafioso, la domanda e l’offerta sono spesso gestite e controllate dalla criminalità organizzata.”
Quando nel 2011 il Prefetto Antonella Di Miro adottò un’interdittiva antimafia nei confronti della Bacchi spa, la motivazione fu proprio che l’azienda operava in un mercato, quello delle escavazioni e degli appalti pubblici, il cui pericolo di infiltrazioni mafiose era troppo elevato. Dai subappalti ad aziende ritenute in odore di ‘ndrangheta ai rapporti tra i titolari ed esponenti dei clan: tutti elementi che costarono alla ditta 5 anni di stop dalle gare d’appalto pubbliche. Cinque anni in cui i vertici dell’azienda hanno compiuto un percorso volontario di riorganizzazione interna e controllo sulla legalità, seguita dai professori dell’Università di Palermo, e si sono dotati di un codice etico di condotta antimafia. Oggi i provvedimenti presi hanno permesso alla ditta, dopo l’aggiornamento positivo del Prefetto, di rientrare nella white list: “Quando ci arrivò l’interdittiva - racconta il titolare Claudio Bacchi - fu un fulmine a ciel sereno. Quelle ditte cutresi erano presenti da anni nel settore dell’edilizia a Reggio, era normale lavorare con loro. All’epoca non avevamo alcuna percezione del ‘disegno’ criminale, che stava dietro a tutto questo.”
Per anni sul Po si è scavato nell’illegalità più selvaggia, Tutti sapevano e nessuno controllava. Il fiume? Terra di nessuno. Non esiste una polizia fluviale e se un cittadino vuole vigilare deve ricorrere a tecniche paramilitari. Sembra il Far west, ma è la Bassa reggiana.
A prescindere delle vicende giudiziarie però, i danni ambientali delle escavazioni abusive, secondo Massimo Becchi di Legambiente Reggio Emilia sono stati diversi: l’alveo del fiume si è abbassato di circa 5 metri, anche per motivi geologici oltre che per il prelievo massiccio di materiale. Inoltre la sabbia fa da cuscino di fitodepurazione per le acque e questo gli è stato portato via, alterando l’equilibrio del fiume e rendendolo più vulnerabile all’inquinamento. Per non parlare del fatto che ora la Regione Emilia-Romagna, per esempio, paga milioni di euro all’anno per il ripascimento delle nostre coste, che sono sempre più erose. La sabbia non arriva più al mare e siamo costretti a prenderla al largo e pomparla a riva per evitare che le spiagge spariscano. “Parliamo di milioni di euro di soldi pubblici, che i cittadini devono pagare ancora oggi per i danni provocati da altri.”