NATURA 2000

LE LEGGI EUROPEE IN DIFESA DEL FIUME

IL CONTESTO
Il fiume Po è tra i luoghi protetti dalla direttiva europea Natura 2000, una rete di siti di interesse comunitario e di zone di protezione speciale creata dall’Unione per la conservazione degli habitat e delle specie, animali e vegetali, a rischio e la tutela della biodiversità. Le zone protette dalla Rete Natura 2000 e dalla direttiva Habitat (in materia di tutela degli uccelli), recepite dall’Italia nel 1996, non sono riserve “blindate” dove le attività umane sono escluse. La Direttiva Habitat intende garantire la protezione della natura tenendo anche "conto delle esigenze economiche, sociali e culturali, nonché delle particolarità regionali e locali" (Art. 2). Soggetti privati possono essere proprietari dei siti Natura 2000, assicurandone però una gestione sostenibile sia dal punto di vista ecologico che economico.
le mani sul fiume cave
Molti dei luoghi e delle fatti raccontati in questo webdoc sono ambientati in luoghi protetti dalla Rete Natura 2000: tra le ZPS (le zone a protezione speciale ) ci sono Viadana e San Benedetto Po, il Parco regionale del Po, la Garzaia di Pomponesco (nel mantovano) e la golena del Po di Gualtieri, Guastalla e Luzzara (nel reggiano); tra le ZSC (le zone speciali di conservazione) c’è tutta l’asta del Fiume e tutta la fascia golenale. Questo non significa che ogni intervento umano (anche di escavazione ad esempio) sia proibito: deve essere però autorizzato e svolto in maniera quanto più attenta e rispettosa dell’ambiente e dell’ecosistema. Molti Piani Cave provinciale sconsigliano di operare in questi luoghi o in zone contigue. Nel caso venga autorizzato, gli obblighi di controllo e riqualificazione ambientale sono sulla carta severissimi. Cosa che invece non sempre abbiamo la certezza sia avvenuta.

Per quanto riguarda l’impatto ambientale delle cave è intervenuta l’Europa per imporre regole più attente. Con la Direttiva Europea 85/337 si è stabilito che l’apertura di nuove cave deve essere condizionata alla procedura di Valutazione di Impatto ambientale. Il recepimento della direttiva, avvenuto in Italia nel 1996, prevede che le cave con più di 500.000 metri cubi di materiale estratto o un’area superiore a 20 ettari siano sottoposte alla procedura di V.I.A., sotto il controllo delle Regioni. Fatta la legge, trovato l’inganno: spesso il limite imposto viene aggirato richiedendo concessioni per aree più piccole di 20 ettari o per quantità di materiale estratto che sfiorano i limiti massimi consentiti. Nasce così una costellazione di micro-aziende, che possono “aggredire” il territorio fuori dagli obblighi comunitari. Secondo uno studio dell’Università Bicocca di Milano delle 1.574 imprese attive nel campo delle estrazioni, il 99,5% sono di medie o piccolissime dimensioni: quasi tutte le imprese italiane dunque non sono tenute a rientrare nei parametri di V.I.A e presentano minori garanzie per la corretta gestione delle cave.